Bobby Timmons: Soul Man.
Nel mondo del Jazz non è il primo dei musicisti che si ferma in giovane età. Oggi vi presentiamo Bobby Timmons, un pianista che nasce il 19 dicembre del 1935 a Filadelfia e si fermerà, giovanissimo, il primo marzo del 1974 a New York; aveva infatti solo 38 anni.
Da tempo Timmons è alcolizzato e non entra in uno studio di registrazione dal novembre del 1968. Nel 1958 entra a far parte dei Jazz Messengers. La droga, alla quale non era mai stato estraneo fin dai tempi del suo passaggio al quintetto di Chet Baker (e siamo nel 1956), il sempre più frequente ricorso all’alcol e una vita familiare tragica stavano portando Bobby Timmons (pianista davvero straordinario) alla fine dei suoi giorni. Eppure tra il 1961 e il 1969 Timmons pubblica la bellezza di 16 album a proprio nome: ben sei di essi recano la dicitura SOUL (“Soul time”; “Sweet and Soulful Sounds”; “Little Barefoot Soul”; “The Soul Man”; Soul Food; Holiday Soul). “The Soul Man” presenta l’immagine di un accaldato Bobby Timmons in canottiera, foto che, forse, dovrebbe suggerire a qualche sprovveduto ascoltatore un contenuto musicale ben più ruspante di quello che, invece, si ascolta nell’album. Forse “The Soul Man” è il più avanzato lavoro che Bobby Timmons pubblicherà, coadiuvato anche da musicisti del calibro di Shorter Ron Carter & Jim Cobb, e si cimenta in brani che ben poco concedono alla moda del tempo, come, per esempio, il brano: “Cut Me Loose Charlie”, in 5/4. Forse sarebbe stato bello che questo gruppo si costituisse in maniera stabile, ma non andò così. Per un gioco paradossale del destino, proprio il maggior momento di successo discografico, corrisponde anche all’inizio della sua decadenza. Alla fine c’è solo da rimpiangere che il pianista non sia riuscito a resistere ancora per qualche anno. Tornando agli anni d’oro di Bobby Timmons, tra il 1958 e il 1960, non possiamo non citare: “Moanin”; “This There” e “Dat Dere”, che avevano risollevato le sorti dei “Jazz Messengers” ed anche del quintetto di Adderly. La fama e il denaro che si erano riversati sui gruppi di Art Blakey, discendevano in larga parte proprio dalle brillanti composizioni del pianista Bobby Timmons, capaci di unire Bop e Gospel, quando non swing e blues in una miscela che verrà ribattezzata: “Soul Jazz”!
A noi piace pensare che, se fosse vissuto di più, Timmons non sarebbe stato sorpassato dalla musica del Jazz acustico degli anni ’80.
Ma :”America Eats its Young”, come annunciava, nel 1972, un album di successo dei “Funkadelic”.
E non era la prima volta che l’America divorava la propria gioventù. Prima di chiudere questo articolo, voglio segnalarvi una raccolta uscita nel 2022 che raccoglie ottimi brani del pianista: “Looking for Bobby”.
Grazie per “averci letto” e alla prossima!
Mario Masciullo.